Artista poliedrico, schivo della notorietà, nato a Maglie (LE) il 15.01.1948. Vive e lavora a Roma. Dipinge sin dal 1960. Fin da bambino ha sempre avuto un contatto fisico vero con i colori: amava infatti andare di nascosto nel laboratorio del padre Salvatore, pittore/decoratore, e si divertiva a miscelare i colori a smalto o tempere, per scoprirne gli effetti cromatici durante l’amalgama e le molteplici tonalità che ne scaturivano. Durante le vacanze scolastiche aiutava sempre il padre nelle particolari opere di decorazione di storici palazzi o chiese (finti marmi, finto legno, cornici ecc.) Questa connaturata vena artistica ed amore per il colore nel suo DNA, lo hanno portato in modo naturale a scegliere l’indirizzo artistico. Per lui l’Arte è Libertà assoluta di pensiero, è fantasia, è Vita. Appartiene a quella élite di artisti che si gestiscono in prima persona, senza condizionamenti o vincoli di nessun genere.
1965 consegue il Diploma di Maestro D’Arte presso l’Istituto Statale D’Arte di Lecce. Si trasferisce a Roma dove consegue il Diploma dell’Accademia di Belle Arti nel 1969 con il privilegio di avere come Docenti gli illustri Artisti: Renato GUTTUSO, Franco GENTILINI, Piero GUCCIONE e Mino MACCARI.
Dal 1968 al 1973 è collaboratore presso lo studio grafico/pittorico/pubblicitario di Giorgio Benvignati dove si occupa della progettazione e l’esecuzione di opere destinate all’abbellimento artistico/pubblicitario delle agenzie Alitalia nel mondo. Nel 1971 partecipa al Concorso “Venticinquennale Alitalia” per l’emissione di un francobollo. Collabora anche con lo studio grafico 70 Sigla nella progettazione di nuovi loghi aziendali e relativa campagna pubblicitaria.
Dal 1974 al 2005 affianca all’attività professionale artistica quella di grafico nella compagnia aerea Alitalia, Ufficio Cartografico per la progettazione ed esecuzione delle importanti Carte di Navigazione Aerea e relative fasi di stampa, nonché l’esecuzione di dépliant per i Viaggi del Papa e Presidenti della Repubblica Italiana nel Mondo.
Nel 1990 diventa responsabile del gruppo ICARUS, un sistema informatico innovativo per la produzione della Cartografia Computerizzata dando concretamente un nuovo impulso e prestigio Europeo alla nostra Compagnia Aerea. Nell’aprile del 2005 dà le dimissioni dall’ Alitalia.
Dal 2009, a seguito della dolorosa e prematura scomparsa dell’amata moglie Rita dopo una lunga malattia trova conforto nel suo studio dedicandosi quasi esclusivamente, con più energia, piacere e immutata passione, alla sua primaria professione artistica. Pur non abbandonando mai il suo personale stile PostCubista continua a sviluppare più concretamente un’attività di ricerca, un percorso sempre più orientato verso un mix fra l’Espressionismo Astratto, lo Spazialismo e l’Informale iniziato su vetro sin dagli anni 70, che lo porterà a finalizzare e perfezionare tecniche basate sulla forza comunicativa del solo colore che diano vita ai suoi pensieri, ai sogni, alle emozioni, cercando, oltre al cubismo, nuove forme espressive, per uscire fuori da un’epoca segnata da decadenza, smarrimento e tanti cloni. Sostiene che un Artista non necessariamente dipinge ciò che vede, spesso dipinge ciò che ricorda o immagina (e questo particolarmente nelle opere informali ). In un periodo storico di crisi dell’arte come negli ultimi anni, non rinunciare a coltivare l’amore per la pittura e riuscirci con indubbia creatività e fantasia è da apprezzare, specie quando si crede nelle possibilità di portare avanti un linguaggio nuovo, consapevole di avere alle spalle un background artistico di tutto rispetto. Indubbiamente un talento, viste le molteplici cifre cromatiche che riesce ad esprimere su varie superfici molto in voga nella pittura contemporanea, dimostrando, nella sua assoluta indipendenza espressiva, di saper governare il flusso pittorico stimolato dalla sua fantasia, che è sostanza e radice di vita, con tecniche che hanno del misterioso. Consapevole che la pittura sia costante impegno, rielaborazione e ricerca ha sempre cercato una tecnica che potesse esprimere la sua immaginazione, la sua creatività. Questo nuovo ed inesplorato percorso, pur nelle difficoltà, gli dà un senso di felicità interiore e indubbia soddisfazione. Ci riesce, dopo anni di prove e ricerca attraverso l’uso dei colori a smalto sintetici (di paterna memoria ed i ricordi da ragazzo), difficili da gestire e senza l’ausilio dei pennelli, distribuendoli sulla superficie con sapiente maestria e istintuale energia creativa fortemente partecipativa, con l’aiuto della sola spatola, e le dita, lasciando loro una difficile libera fluidificazione di amalgama guidata però dalla sua mano, creando in libertà una pittura d’azione, come fosse una sfida, una ribellione. All’atto creativo di un’opera non figurativa, mentre inizia la stesura degli smalti, c’è sempre un momento in cui la fantasia prende il sopravvento, la mano corre, libera da ogni vincolo di sorta sino a trovare le più inesplorate alchimie cromatiche diventando così un processo ogni volta differente nel modo di gestire l’amalgama dei colori. Il risultato di queste opere sono incredibili e fantastiche immagini, una sorta di reazioni a catena, forme immaginifiche e surreali, spesso veri lampi di luce che proiettano in un universo affascinante e misterioso, con fenomeni di creazione cosmici, planetari e misteriosi, spazi siderali. Non sono “costruite” ma nascono da un irrefrenabile impulso interiore, da una meditazione, da un pensiero sul mondo che ci circonda, che l’artista traduce con gesto immediato e liberatorio, senza inutili virtuosismi.
Dal 2018 al 2019 fa parte della corrente Artistica del “ MetaFormismo “ creato dalla Prof.ssa Giulia Sillato con mostra a Matera, Capitale Europea della Cultura nel 2019. Entrando nella sua casa/studio ti senti sopraffatto dall’arcobaleno della sua tavolozza e dall’energia che trasmettono le sue opere. Il grande pregio della pittura non figurativa è senz’altro quello di essere libera, senza condizionamenti, senza dover per forza comunicare un’immagine reale, un messaggio. L’osservatore si trova davanti ad un’esplosione pirotecnica di colori che genera sempre curiosità, può immaginare e intravedere forme come avviene osservando le nuvole, un turbinio deflagrante di emozioni che va oltre i confini del quadro. La sua è una ricerca costante e di continua ispirazione per fermare con gesto pittorico un ricordo, un istante, un’emozione. L’artista si rivela anche un acuto osservatore di eventi naturali, li immagazzina per poi trasferirli sulla tela o sul legno con una sua personale visione di sintesi cromatica.
In queste opere Astratte/Informali/Action Painting esprime tutta la sua forte carica espressiva densa di energia vitale. Attraverso questa incessante ricerca inizia così un periodo felice di intenso lavoro ricchissimo di importanti opere, con la partecipazione a moltissimi eventi artistici Nazionali ed Internazionali ottenendo numerosi ed importanti premi, nomine Accademiche ed apprezzati riconoscimenti da parte di molti professionisti di rango del settore, galleristi e noti critici d’Arte come il Prof. V. Sgarbi, Achille Bonito Oliva, Daniele Radini Tedeschi, Paolo Levi, Prof. Sergio Rossi, Gastone Ranieri Indoni e tantissimi altri che trovano spazio nel suo sito web.
Segnalato ed inserito in molte copertine e prestigiose pubblicazioni artistiche ed Annuari d’Arte Moderna e Contemporanea visibili nei principali Musei Internazionali. Viene costantemente invitato a partecipare a mostre personali e collettive Internazionali in tutto il mondo (Stati Uniti, Sudamerica, Canada, Australia, Giappone, California, Emirati Arabi, Russia, oltre che in tutta Europa).
Contatti: 329.4047918 – anastasia.antonio@alice.it – www.antonioanastasia.com
Critiche artistiche
Testo Critico del Prof. Vittorio SGARBI – Storico e Critico d’Arte
Testo estratto dal Volume d’Arte “Porto Franco” – gli artisti sdoganati da V. Sgarbi – Edizioni EA – Palermo – Giugno 2014
Antonio ANASTASIA
C’era una volta il Cubismo. Quello analitico, pionieristico, breve e intensissimo, con i dioscuri Picasso e Braque a indicare la strada, elaborando un nuovo linguaggio, votato a cogliere la dimensione mentale delle cose, che sviluppa al meglio le intuizioni di Cézanne; quello sintetico, successivo al 1912, con i maestri primari che vengono affiancati da tutta una serie di diversi proseliti, impegnati a diffondere il verbo e a codificarlo in linguaggio di più larga condivisione, in un modo non troppo dissimile a quanto fece la manfrediana methodus con Caravaggio.
In Italia, il rapporto col Cubismo fu particolare. Condizionato inizialmente dal Futurismo, che sarebbe dovuto esserne fratello di latte, ma che, vittima del suo nazionalismo, finì per considerarlo rivale nella primogenitura dell’Avanguardia, nel nome del solito primato italiano. Poi ci fu l’ostracismo della figurazione recuperata (Valori Plastici e Novecento innanzitutto), che da una parte non fu affatto estranea al senso “squadrato” della forma introdotto dal Cubismo, dall’altra lo rinnegò apertamente, tacciandolo di degenerazione intellettualistica che oltraggiava la sacra lezione ereditata dal Rinascimento, italiano, naturalmente. Sicché, chi in Italia voleva occuparsi di Cubismo e dei suoi sviluppi doveva farlo in maniera appartata, fuori dalla linea maestra, come i razionalisti del Milione, ad esempio, oppure rimanendo sotto l’egida patriottica del Futurismo, come fanno Depero e Prampolini. Se questa era la situazione, non sorprende che nel primissimo Dopoguerra, spazzate le complicità col fascismo, la riscoperta del Cubismo diviene la tappa obbligata di buona parte del processo di ammodernamento e internazionalizzazione dell’arte italiana, coinvolgendo tanto il versante astrattista quanto il figurativo. Ma dagli anni Cinquanta avanzati in poi, il Cubismo torna a destare poco interesse, travolto dall’orgia informale, e sono in molti a considerarlo consegnato alla storia, ormai definitivamente.
Non per tutti, però. Fuori dalle cerchie più à la page, specialmente fra gli autodidatti, gli studenti d’arte e quanti sono all’inizio della loro formazione artistica, il Cubismo continua a essere un riferimento importante, come il primo linguaggio capace di tenere realmente il passo di una contemporaneità considerata in eterno presente, che va dunque appreso e applicato. E’ questo l’approccio didattico con cui anche il salentino Antonio Anastasia ha reso omaggio al Cubismo, in un modo dunque rispettoso, ma tutt’altro che obbligato e reverenziale, interpretandolo non come meta finale, ma come tappa intermedia, per quanto importante, nel percorso alla ricerca della propria cifra espressiva. Un percorso che significativamente, a sottolineare quanto appena detto, ha contemplato anche altre retrospezioni stilistiche, altre immedesimazioni nei linguaggi storici della modernità, come, ad esempio, l’Astrattismo, l’Informale, con esiti non meno rilevanti di quelli conseguiti con il Cubismo. Non si tratta di “culturalismo” a buon mercato, del farsi bello di una citazione per giustificare la dignità di una proposta artistica altrimenti poco consistente, tanto per capirci, come in Italia, paese tendenzialmente ignorante, capita fin troppo spesso. A riprova di ciò, il fatto che Anastasia ha nel frattempo continuato a praticare una figurazione di soggetto naturalistico che, seppure più prevedibile e convenzionale, ha comunque fornito all’artista la possibilità di esprimersi con un sermo cotidianus che rimane ancora di maggiore comprensione popolare, apparentemente incurante delle successive mediazioni intellettuali che il Cubismo ha imposto da sé stesso in poi. Anastasia, dunque, non vuole affatto mascherarsi in quello che non è, vuole solo capire per poter fare proprio, assimilando solo dopo aver adattato al proprio senso critico, al proprio modo di avvertire l’arte e il mondo. Nelle sue opere “retrocubiste”, per esempio, ho notato la lucidità con cui riconosce a Gino Severini, il più francese dei nostri avanguardisti storici, prima futurista militante, poi antesignano figurativo del rappel à l’ordre, di essere il più logico anello di congiunzione, non solo formale, fra le griglie sintetiche di Gleizes e Delaunay e un Futurismo alla Depero inteso come suprema decorazione universale. Un’interpretazione per niente scontata, anzi acuta e raffinata, che non può non suscitare rispetto per chi l’ha elaborata, dimostrandola con l’evidenza di un’invenzione artistica del tutto convincente in questo senso.
Dal Critico d’Arte Gastone Indoni
Ad Antonio Anastasia di cui vanto la stima e l’amicizia e che credo e considero come facente parte di quei magnifici cinquanta artisti, tra pittori e scultori, posizionati meglio e al disopra di tutti gli altri.
Oggi mi pungeva vaghezza di fare un saluto carino al mio amico e grandissimo Maestro in pittura, cui da tempo dovevo postare quest’opera che parla de ‘Le Passioni di Fabrizio’ il secondo dei suoi amatissimi nipoti che, a loro volta, sono due piccoli geni. Avranno sicuramente preso dal nonno che, uomo dalla spiccata bonomìa salentina, non perde occasione per produrre gentilezza e bellezza con le sue opere dai diversi stili.
E’ stato proprio l’amico Vittorio Sgarbi a specificare davanti a un folto pubblico che uno dei pochi pittori italiani capaci di riproporre in modo superbo il Cubismo è proprio il Maestro Antonio Anastasìa. Ma la sua forza è che riesce a proporsi davvero benissimo investendo sul suo stile, sulla sua cifra. Quello che non t’aspetti e che molto sorprende, ma spesso stupisce e sbalordisce, è l’acquisita annosa possibilità di potersi misurare e confrontarsi come antitesi con chiunque lo voglia performante su altro stile. Il mio apprezzamento maggiore come uomo e come amico è senza dubbio la sua dirittura morale e la grande sincerità con cui apprezza il lavoro altrui, quello di colleghi meno dotati e pur sempre molto stimati e incoraggiati. Una rarità. Un Signore vero! Grazie di esserci caro Antonio!
Gastone Ranieri Indoni – Sull’opera “Promessa d’Amore” , agosto 2022
Caro Maestro, carissimo amico, per quante volte posso aver scritto e recensito di te e delle tue, ogni volta sorprendenti, opere, sono certo di non ripetermi mai, vista la quantità delle tue vaste qualità pittoriche, stilemi periodici e ulteriori che includono il genere, il vedutismo, il cubismo e tante di quelle estatiche espressioni di pittore raffinato e gentile che non finiscono mai di stupire anche per le tematiche sempre attuali e coerenti oltre che per il sorprendente lirismo che riesci ad attribuire addirittura a dipinti informali, astratti e di spazi siderali che assurgono a divinatori per l’esaltazione di quel sublime che in te è sempre spontaneo forse perchè già intriso nel tuo fantastico DNA. Le sceneggiature, rispettose di luminoso rispetto di natura es ecologia, che vanno a planare su tele, tavole, allumini e quant’altro materiale possa capitare a tiro dei tuoi pennelli, guidati da un vero genio creativo, mi appaiono spesso come stralci di inquadrature filmiche per l’intensità emotiva che trattengono e che puntualmente evolvono in capolavori come lo stesso Tempo certifica a distanza di anni grazie a euritmie, armonie, equilibri, simmetrie e latenti estetismi indiscutibilmente accattivanti pur anco sempre differenti e innovative. Vivo sempre un sentimento di sincero ringraziamento per quel plotone di poeti indicibili, maestri di cui fai parte e che tanto mi inorgogliscono per la stima, l’amicizia e soprattutto per l’enorme acume culturale che mi rivolgete sproporzionato all’esiguo numero che siete. Grazie per il paradiso che Vostro tramite ho raggiunto da un pezzo!
Critica del Prof. Sergio Rossi
Docente Università La Sapienza di Roma, Facoltà di Arte Moderna
Testo estratto dal volume: “ Esposizione Triennale di Arti Visive a Roma 2014” edito da Giorgio Mondadori
<< Prese l’architetto, se io non erro, pure dal pittore gli architravi, le base, i frontespizi e simili tutte altre cose; e con regola e arte del pittore tutti i fabbri, scultori, ogni bottega e ogni arte si regge…però usai dire tra gli amici, secondo la sentenza de’ poeti, quel Narcisso convertito in fiore essere della pittura stato inventore; che già ove sia la pittura fiore d’ogni arte, ivi tutta la storia di Narcisso viene a proposito. Che dirai tu essere dipingere altra cosa che simile abbracciare con arte quella ivi superfice del fonte? >>. Così scriveva Leon Battista Alberti nel suo Trattato sulla pittura del 1436. Ed è appunto alla “pittura” in ogni sua variazione stilistica che ha dedicato tutta la sua vita Antonio Anastasia, artista poliedrico e insieme appartato, si inserisce comunque a pieno titolo in quella tendenza alla riflessione sulle esperienze artistiche del passato che ha ormai conquistato tanti artisti contemporanei che vivono il ritorno al “dipingere” non come un qualcosa di passatista ma piuttosto come la risposta sempre attuale al bisogno di esprimersi connaturato in ogni essere umano.
Del resto oggi finalmente possiamo ricomporre il dualismo, troppo a lungo imperante, tra razionalità e fantasia, o per dirla con altre parole, tra ragione e sentimento, e riconoscere che non vi è alcuna incompatibilità tra questi termini e che anzi entrambi questi elementi sono necessari per la perfetta riuscita di un’opera d’arte. Ma oggi si è ricomposto anche l’altro grande elemento di contrasto che ha dominato l’estetica del Novecento, quello tra intellettualità e manualità, tra idea e prassi. Tramontata infatti la grande utopia dell’arte concettuale si è tornati ad apprezzare in un’opera d’arte, anche fotografica o di video-art, la cura fattuale o se si preferisce tecnica, con cui essa è eseguita, senza per questo nulla togliere al suo valore poetico.
Dunque il contrasto non è più tanto tra pittura e arte concettuale, tra figurativo e informale quanto tra arte colta e arte popolare, linguaggio comprensibile a tutti e linguaggio riservato a pochi, così come tra colui che sa fare arte, qualunque mezzo espressivo usi e colui che non sa farlo.
E i pregevoli e coloratissimi dipinti che scandiscono la carriera di Antonio Anastasia frutto di grande virtuosismo tecnico e assoluta padronanza cromatica, sono essi stessi prova dello sconfinamento dall’astrazione alla figurazione e viceversa, perché sono opere a volte rigorosamente informali, frammenti appunto, di nero, blu, grigio, illuminati da vividi bagliori di gialli, rossi, azzurri, pure forme fluttuanti in un immaginario spazio infinito colto nel momento della sua improvvisa esplosione; a volte invece sono dipinti di nitida scansione geometrica che si rifanno senza alcun complesso d’inferiorità, alla grande tradizione del primo Cubismo di Picasso e Braque rivisto però con l’occhio effervescente di un Balla o di un Depero, lasciando sempre, che la materia viva di una sua propria forza creativa, produca degli effetti cromatici e segnici a volta inattesi e che l’artista si limita a controllare e suggerire, ma non ad imporre.
Egli è in definitiva insieme figurativo e astratto, a volte delicato e poetico ed a volte cromaticamente e dinamicamente violento, come se in lui convivessero insieme il dott. Jeckill e mister Hyde, o meglio se entrambi si specchiassero in quella stessa fonte di Narciso citata all’inizio. Acutamente osserva Simone G. Pieralice:
“ Ogni opera di Anastasia porta con se le tracce di un passaggio attraverso luoghi, passioni, universi che sfociano nella narrazione di una dimensione sospesa tra realtà e immaginario. Mirabile il suo intenso lavoro artistico che sa cogliere e combinare, in linee e colori, messaggi a volte poetici e simbolici, a volte ricchi di un’espressività che scava nell’animo. La singolarità dei soggetti di Anastasia è ben evidente nella sua ultima produzione laddove i personaggi rappresentati si librano sul magma di una materia scomposta, a volte concepita per pluralità di colori che in accordo tra loro portano a una concretezza dell’immagine. L’identità viene così ricostruita per successive modificazioni di linee e nuove conclusioni formali – spaziali della composizione, emblematica a tal proposito è l’opera “ Forme nello Spazio” ed il ciclo di quadri di ispirazione Cubista e Futurista. Elementi che danno ossatura alle immagini, non casuali o estemporanei, ma parti di una cosciente addizione. Ognuna di queste tele raffigura un interno e complessivo equilibrio di segni e di forme, testimonianza d’una evidente e sensibile mediazione tra ordine e disordine. I dipinti nascono allora dalla complessità di un progetto-processo fondato su regola e irregolarità.
Triangolazioni nello spazio, forme convesse, linee, soluzioni geometriche il tutto espresso con un incontenibile tripudio di colori riflesso di un’anima solare e positiva, conseguenza ed esito della convinzione che l’arte possa avere quell’effetto taumaturgico e miracoloso finalizzato a lenire i dolori e le tristezze del secolo attuale.”
Entrando nello specifico di alcune delle sue opere più significative, inizierei dal bellissimo Giocatori di polo, dove quattro cavalieri si intersecano e si scontrano cubisticamente frazionati ma insieme nettamente distinguibili in un dipinto dove i riferimenti palesi a Delaunay e soprattutto al meno noto ma bravissimo Andrè Lothe e ai suoi Giocatori di rugby, questi riferimenti dicevo, non ci devono nemmeno distogliere, ancora una volta, dalle matrici italianissime del nostro Anastasia che risalgono niente di meno che al primo pittore cubista della storia dell’arte, ossia Paolo Uccello.
Scomposizioni di piani, giochi cromatici che si intersecano fra loro in una commistione equilibrata e armonica, una decostruzione della prospettiva in funzione di un annullamento dei canoni codificati dell’arte.
Piccoli tasselli che raccontano il narrato dell’opera scomposti e ricomposti come fossero anagrammi. Forse, come per i cubisti, anche in Anastasia c’è la volontà di indagare il rappresentato sotto diversi punti di vista, sotto ogni angolatura al fine di rendere l’opera una sorta di “esperimento scientifico” che con pennelli e colori passa al setaccio ogni forma dello scibile umano per sottoporlo all’analisi lenticolare dell’artista.
E ancora mi piace citare la nitida Composizione di frutta, come di un Caravaggio rivisto attraverso gli occhi di Casorati, un Casorati però più solare e mediterraneo; o ancora il più dinamico e verticale Immagini di vita in composizione. Cubismo e astrattismo quasi sconfinano, poi, nel musicalissimo Ritmo o in Forme nello Spazio, per ricomporsi infine nel solenne Omaggio a Severini. Un’ultima osservazione infine sulla presenza della figura umana nella maggior parte delle opere di Anastasia. L’uomo infatti è solo apparentemente assente, sta nell’altra stanza, o fuori dalla finestra, o dietro la curva di un sentiero, in attesa del momento della sua riappropriazione, attraverso l’insostituibile strumento della pittura.